Grado della Celebrazione: Memoria
Colore liturgico: Bianco
SAN MARTINO (11 novembre)
Nato a Sabarìa in Pannonia (attuale Szombathely in Ungheria, all'epoca appartenente alla regione ecclesiastica aquileiese), Martinus (317-397) ebbe la sua iniziazione come milite romano dell’esercito imperiale con il ruolo di "circitor" (332-56). Ottenuto il catecumenato (327) e il battesimo (356), divenne il pioniere del primo monachesimo occidentale, fondando tre monasteri (Milano nel 359, Ligugé nel 360 e Marmoutier nel 371). Martino si era infatti formato in seno alla Scuola Teologica Aquileiese, incline a favorire un cristianesimo monastico, ispirato al cristianesimo ascetico e rustico dei Terapeuti di Alessandria d’Egitto. Nella seconda parte della sua vita Martino si fece diacono per l’esorcistato presso il vescovo Ilario di Poitiers (356-71) e venne infine acclamato vescovo di Tours in Gallia (371-97). La sua agiografia, narrata nella "Vita Martini" (397) di Sulpicio Severo, nella "Vita sancti Martini" (575) di Venanzio Fortunato da Valdobbiadene e ripresa nella "Legenda aurea" (1298) di Jacopo da Varazze, si presenta ricca di segni della potenza divina. Oltre al celeberrimo episodio di carità (la divisione del mantello con il povero), Martino è stato prodigo di profezie, di giustizia, di pazienza, di preghiera assidua, di evangelizzazione (l'abbattimento del pino, venerato dai pagani della Turenna come presenza di divinità dionisiache), di esorcismi e soprattutto di lotta alle eresie (sintomatico è l’incontro a Milano col diavolo, simbolo dell'arianesimo). Definito “malleus haereticorum”, “imago homo caelestis” (Paolino da Nola) e "il tredicesimo Apostolo del Signore” (in quanto fu pari agli Apostoli per le grazie ricevute dallo Spirito Santo, che discese in lui sotto forma di fuoco), è stato il santo militare più popolare d’Occidente e il primo santo non martire posto sugli altari dalla Chiesa.
Inviso ai ricchi, disprezzato dai nobili, irriso dai fatui e dal clero discinto e vacuo, Martino è stato “perfectae regula vitae” che "ha incarnato con la perfetta imitazione di Cristo l’immagine dell’uomo celeste” (Paolino di Nola), icona singolare e assolutamente convincente di santità. In Martino contempliamo il guerriero, colui che usa la propria forza contro gli altri e contro sé stesso (contro i suoi limiti interiori) e combatte la battaglia più dura: quella contro il proprio egoismo, unico grande ostacolo al cammino iniziatico. Gli sono stati attribuiti alcuni aforismi, espressione di un ideale di Chiesa di natura ancora pre-costantiniana, improntata al criterio evangelico della carità che ripudia la violenza e il compromesso con gli interessi contraddittori del potere civile: “A un cristiano non è lecito morire che sulla cenere e il cilicio”; “La misericordia divina è più abbondante dove maggiore è il bisogno”; “I delicta antichi sono purificati dalla conversione a una vita migliore e coloro che hanno smesso di peccare devono essere assolti dai loro peccati in virtù della misericordia del Signore”.
Nell'icona del monaco-vescovo che doveva rappresentare la possibilità di una sintesi fra rusticitas e urbanitas, fra perfezione e mediocrità spirituale, ovvero fra integrale osservanza dei precetti evangelici e compromissione mondana nell’esercizio di un potere, Martino si è fatto “segno di contraddizione per costituzione spirituale e impatto di fermezza morale più che per parole predicate” (Alessio Peršič).
La paremiologia calendariale veneta lega l’11 novembre alla pratica del "Far San Martìn" (il termine dell’anno agrario, la scadenza degli affitti e l’escomio) e al matrimonio (“a San Martin se marìda la fia del contadìn").
Giuliano Ros
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